Mentre il sottoscritto scriveva del futuro, ultimo, DLC in arrivo per Dark Souls III è arrivata, dal cielo, una grande consapevolezza: la saga di Dark Souls sta finendo.
E quindi è sorta spontanea l’idea di tirare un po’ le somme sugli anni di incredibile intrattenimento che la saga di From Software ha regalato a un numero sempre più grosso di appassionati, andando a comporre quella che, meglio essere chiari dal principio, è una lettera d’amore nei confronti dell’opera partorita dalla mente di Hidetaka Miyazaki.
Partiamo dall’ultimo capitolo della saga, quello forse più accessibile di tutti, l’ottimo Dark Souls III uscito nel marzo del 2016, che ha visto il ritorno del “Maestro” alla direzione, dopo la parentesi autogestita da From Software del secondo.
Dark Souls III, insieme a Bloodborne, ha il grande merito di avere definitivamente avvicinato il grande pubblico alle opere della From Software, rimuovendo finalmente di dosso alla serie quella patina di élitarismo e nicchia che si era, a tratti giustamente, vista appioppare.
Dark Souls III è, in buona sostanza, un’ottima summa di quello che è una “esperienza Souls”, è un action-GDR costruito con maestria da un punto di vista del level design e dell’equilibrio, un gioco che pretende attenzione e cura, che non vuole essere preso in giro, che punisce chi abusa della sicumera e premia, fisicamente e moralmente, il giocatore attento e rispettoso del media.
Grazie a un combat system di livello elevatissimo rispetto alla media, andare in giro a brutalizzare non morti e bestiacce di vario tipo è una delle esperienza più divertenti e gratificanti che un giocatore possa affrontare.
Da un punto di vista emotivo è un gioco che può dare tantissimo, anche e soprattutto a chi ha giocato i precedenti, avendo Miyazaki voluto inserire degli elementi di lore in grado di dare agli affezionati di vecchio pelo una discreta serie di momenti da pelle d’oca.
Oh, giusto, Dark Souls III, esattamente come tutti i precedenti capitoli della saga, non ha una storia che guida per la manina, ma lancia il giocatore all’interno del minaccioso mondo di gioco (a tratti stupefacente per le atmosfere) lasciandolo esplorare e capire da solo quello che il mondo ha da raccontargli, grazie a dialoghi con NPC e descrizioni degli oggetti trovati; perché, come lo stesso Miyazaki ama dire “un mondo ben costruito può raccontare la sua storia in silenzio”.
I boss di quest’ultimo capitolo sono, esteticamente, tra i più ispirati in assoluto e sono la vera prova di quello che si diceva poco sopra: sono creature in grado di disintegrare chiunque, se affrontate con superficialità, e di donare soddisfazione ed appagamento su livelli assoluti, se affrontati e battuti con criterio.
Nel momento in cui si tirano le somme su ciò che è stata la saga Dark Souls, il pensiero non può non andare al primo capitolo, l’origine di tutto, quello che (a modesta opinione del qui scrivente) resta uno dei giochi più belli mai giocati in 25 anni di onorata carriera.
Un gioco deliziosamente complicato e libero, un gioco che spiegava poco e niente direttamente, ma che spingeva il giocatore a imparare spontaneamente come pochi altri titoli nella storia. Si andava avanti, di sconfitta in sconfitta, imparando sempre di più, ogni morte era dolorosa ma mai frustrante, era educativa, si imparava a amare il concetto di sconfitta, in quanto preludio ad una soddisfacente vittoria.
Il termine “libero” usato poc’anzi è più che mai calzante, il gioco non ti dava nessuna direzione, si poteva andare, fin dai primi momenti, in aree incredibilmente provanti e complicate, dove sopravvivere era difficile, incredibilmente difficile all’inizio (quei maledetti scheletri!), ma che consentivano di ottenere oggetti e premi incredibilmente potenti già dalle prime ore di run.
Alternativamente era comunque possibile seguire un percorso con una “curva di difficoltà” più moderata, in maniera tale da potersi godere il gioco in versione un po’ più “rilassata”. Libero, giustappunto.
Grazie alla sua peculiare struttura, Dark Souls, era un gioco perfetto per chi volesse appassionarsi a qualcosa, in quanto consentiva di passare centinaia di ore, suddivise in diverse run completamente diverse tra loro, a sperimentare build e ad azzardare imprese, avendo ogni volta il gusto di aver avuto una grande idea o un’idea incredibilmente inutile, ma dannatamente divertente da provare.
Ecco, tanto per cambiare, quando si parla di amore, siamo andati lunghi.
La miglior chiusura possibile è invitare chiunque non abbia mai provato a farsi un giro per Lordran, Drangleic, Lothric o Irithyll e incontrare Solaire, Artorias o Gwynevere e provate a non innamorarvene, se ne avete il coraggio.
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